Quella mattina d'agosto
- Spazio Eclettico
- 8 mar 2024
- Tempo di lettura: 3 min

Sono le sette del mattino. La luce solare diventa sempre più invadente, s’infiltra in ogni fessura per giocare con le ombre, figlie bastarde di una notte senza sonno.
Metto su la moka, l’aroma del caffè si diffonde per la casa. La bruciatura sulla coscia destra pulsa per qualche secondo.
Nina miagola ostinatamente per la fame, nel mentre gioca con i miei piedi nudi mordendoli e graffiandoli. L’altro gatto, Lucio, mi osserva, calmo, con aria sorniona. Riempio le loro ciotole con delle crocchette. Da quando ho a che fare con i gatti ho capito diverse cose. Per esempio, non ti ringrazieranno mai con un miagolio o con una leccatina sulla guancia, nonostante siano creature affettuose. Il loro “grazie” si tramuta in silenzio, nel rispetto dei tuoi spazi, della tua dimensione privata.
Riempio la mia tazza con il caffè bollente. Il primo sorso mi riconnette con il mondo circostante, e man mano che lo sorseggio i miei pensieri diventano sempre più lucidi.
Metto su un disco. Quel disco. Quello che ascoltavo ininterrottamente diversi anni fa, quando ero più giovane. Una neo ventenne incazzata con la vita, divorata da una rabbia distruttiva che solo quando non ti conosci nel profondo puoi provare. Quando pensavo che bastava l’amore per risolvere le bruttezze della vita. Quando pensavo che è compito degli altri farti star bene. Quando temevo la solitudine più di ogni altra cosa. Sorrido. Una piccola parte di me è rimasta su quel disco, e continua a girare, girare e girare… e io la lascio li, ormai con me non s’incastra più. Ma so che ci saranno momenti nei quali quella ventenne con i capelli perennemente arruffati urlerà per farsi sentire, poiché in passato nessuno l’ha ascoltata. Ma adesso ci sono io a porgerle un orecchio.
Le note gracchianti emesse dal giradischi mi penetrano il cranio, ormai sono totalmente sopraffatta dai miei pensieri. Li lascio fare, voglio che siano il più violenti possibile. Voglio che il mio cervello ne esca devastato. Ne ho bisogno.
Che strana mattina d’Agosto, mi dico.
Apro le finestre e accendo una sigaretta. Arriva, finalmente, la mia canzone preferita. Da quanto tempo non l’ascoltavo.
Quante cose si perdono per strada quando si cresce e si cambia. Ci dimentichiamo luoghi, persone, situazioni. Ma basta un rumore, un suono o un odore per riportare tutto a galla. I ricordi arrivano come il flash improvviso di una macchina fotografica, nostalgici e malinconici come l'odore della carta e del caffè. Per poi andarsene serenamente, veloci come un orgasmo dopo essersi masturbati di nascosto nella propria cameretta.
Penso a quante volte, nel corso della mia vita, ho pregato un ipotetico Dio. Sono state soltanto due. E non è servito a niente.
Nessuno si innamora più, tutti a correre a destra e a sinistra senza fermarsi mai, sommersi dall’idea angosciante che se non diventiamo qualcuno allora non saremo mai nessuno. Illusi dal mito del non accontentarsi mai, che c'è sempre qualcuno o qualcosa di migliore. Divorati dall'inganno dei social, dove la vita degli altri sembra sempre migliore della nostra. Persone perennemente in vacanza, piene di soldi, con corpi perfetti da esibire.
Questo è il modello dell'essere umano basico. Quello a cui, nel profondo, aspira a diventare.
Siamo diventati degli automi non più in grado di abbandonarsi ai sentimenti. Non siamo più in grado di confrontarci con la realtà, ma preferiamo la versione digitalizzata, fittizia, irreale.
L'amore è diventato l'ennesimo prodotto da divorare, consumare e poi buttare via. Il corpo un luogo da deturpare con il proprio ego.
Ma che senso ha la vita senza l’amore? In una società che ci vuole sempre sul pezzo e performanti, gli smarrimenti non sono più tollerati.
Nessuno vuole perdersi, nemmeno per qualche istante. Quando in realtà è proprio perdendosi che, a volte, si trova la strada giusta.
La musica si interrompe. Spengo la sigaretta. Questo agosto, così silenzioso, mi inquieta. Sembra presagire qualcosa, ma allo stesso tempo è eco di qualcos’altro.
Attendo la pioggia di fine estate, voglio che inzuppi i miei riccioli e che con la sua acqua fredda levi il sangue dalle mie ferite.
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