Mi perdo in una sottile nebbia che nasconde tutto ciò che mi circonda. È sottile ma allo stesso tempo densa. Mi trafigge gli occhi entrando nelle mie pupille. Fa freddo e l'oscurità mi avvolge come un mantello.
Sono stanca e i pensieri affollano la mia mente. Pensieri orfani, viandanti squattrinati, in cerca di una casa negli anfratti più bui e marci di me stessa. Pensieri bastardi, lerci, senza una meta precisa.
Ci siamo Noi e poi ci sono Loro.
Noi siamo i folli, i depravati, i perversi, quelli rifiutati, gli emarginati che si mettono in disparte, in un angolo, ad osservare - taciturni - un mondo che funziona al contrario.
Gli altri sono quelli che dicono di non sbagliare mai, quelli che si stirano la cravatta e piegano i vestiti prima di scopare. Quelli che ad un appuntamento arrivano mezz'ora prima e se ne vanno sempre per ultimi.
Hanno una bellissima argenteria in casa che lucidano ogni giorno con l'aceto mentre ascoltano il telegiornale, fingendosi dispiaciuti per l'ennesima morte.
Sono quelli che hanno un figlio drogato in casa ma fanno finta di non saperlo, altrimenti la loro comoda e rassicurante vita, che si erge sul falso mito della perfezione, andrebbe inesorabilmente in frantumi.
Noi serviamo a loro come loro servono a noi. Loro ci guardano dall'alto verso il basso e ci giudicano, sentendosi migliori, mentre postano sui social l'ennesima foto dove fingono di essere felici. Noi ci crogioliamo nella loro banalità, ripetendo a noi stessi che quello che conta è vivere una vita intensa, quando in realtà piccoli pezzi di noi muoiono ogni giorno.
Gli occhi si riempiono di racconti e di storie, la gente è la nostra droga, lo sappiamo bene e un po' ce ne vergogniamo. Le loro stranezze, i loro tic facciali, come muovono le mani, come sorridono, come abbinano i colori dei vestiti. Il loro unico e intimo dolore.
Più una persona si comporta in modo anomalo e più ne siamo attratti, come uno squalo che sente a distanza di chilometri l'odore di sangue. E poi ti senti sporco, come un vojeur che si masturba e si schizza sulla coscia mentre osserva la vicina di casa denudarsi.
Quelli come noi li riconosci subito, hanno fiamme al posto dei capelli, boschi tenebrosi negli occhi, sanno di fumo di sigaretta misto a chewing-gum alla menta. Vivono il loro manicomio personale senza disturbare nessuno.
Quando piove non hanno mai l'ombrello e perdono sempre tutto, chiavi, portafogli, cellulare. A volte hanno perso pure la testa.
Li riconosci perchè quando ascoltano lo fanno con tutto il corpo, sono finestre aperte dove può entrare di tutto, e loro sono lì, inermi, a farsi violentare dagli orrori della gente.
Poi impari, con il tempo, a chiudere ogni tanto quella finestra, tirando giù le tapparelle, assaporando pienamente il silenzio. La solitudine diventa la più dolce e oscena compagna.
Cammino verso la fermata dell'autobus, ormai è notte e la nebbia non cala, anzi, diviene sempre più fitta ed esasperata. Sembra quasi quel sogno, si esatto, proprio quel sogno che ancora non ho compreso. Quel sogno dove provavo ad afferrarti con una mano senza riuscirci.
Ripenso a tutte le mie cicatrici, ormai diventate bianche. Ripenso a tutto il tempo che ho sprecato cercando di ritagliare perfettamente la mia sagoma, per poi, inevitabilmente, ferirmi un dito. Cercando di essere come Loro ma fallendo miseramente ogni volta.
Poi c'è stato un momento che ha segnato un prima e un dopo.
Quel giorno decisi di posare le forbici e di strapparmi totalmente da quel foglio bianco.
Un unico strappo, forte, come un colpo di pistola, come una lama fredda che ti penetra lo stomaco, smettendo di inseguire la perfezione. Restituendomi il diritto di esistere.
Ora, quando guardo i tramonti, e il rosa e l'arancione si mescolano, non ti penso più. Neanche se mi sforzo. La vita a volte, nel suo misterioso agire, si sistema da sola. Tutto trova ordine nel caos.
Adesso gli agnelli non gridano più.
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