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Nessuno



due mani intrecciate su sfondo rosso

Ascolti musica jazz mentre sorseggi un calice di vino rosso, attorcigliata nella tua vestaglia di seta nera. Ti senti grande e invincibile, reduce dall'ultima delusione amorosa. Ma non ti importa. Non ti importa più di niente, ormai.


Dai tuoi clienti ti fai chiamare Sara, dai tuoi amanti Cecilia. Ma nessuno è a conoscenza del tuo vero nome, quello con cui sei nata e che porti cucito al petto.


L'ultimo era un avvocato, sposato e con figli. Ti ha promesso che avrebbe lasciato la moglie per venire a vivere nel tuo sudicio monolocale. Tu avresti smesso di fare quello schifo di lavoro e lui ti avrebbe assunto come segretaria nel suo studio. Ti ripeteva la stessa storia da ben due anni e tu, Cecilia (o Sara ?), annuivi e sorridevi speranzosa, immaginando un futuro pieno di amore, dove tutti i tuoi pezzetti di carne sanguinolenta si sarebbero ricuciti.


Ma fin dal principio eri a conoscenza dell'illusione di quel rapporto. Ti sei aggrappata alle parole di un uomo come i tossici in disintossicazione fanno con il metadone.

Ti capisco Sara o Cecilia, speravi soltanto in un futuro dove saresti riuscita a dormire senza incubi. Un futuro dove il ricordo di tuo padre, ubriaco, che ti picchia sarebbe diventato di qualcun altro. Ma l'amore non cancella i brutti ricordi, non guarisce dalla sofferenza.

Talvolta l'amore è un coltello che scava in squarci già aperti, e scava, scava fino ad arrivare alle ossa. Finché non rimane nulla di te.


Ti guardi allo specchio, le occhiaie scavate da una vita di orrori ti fanno sembrare più vecchia di quanto sei realmente. I capelli biondo platino sanno di fumo di sigaretta e il rossetto rosso, che evidenzia le tue labbra carnose, è sbavato a causa dell'ultimo rapporto orale consumato. Guardi la banconota da 50 euro posata sul comodino, vicino al profilattico, ancora pieno di sperma caldo.

Ti sento, Sara, o Cecilia, o nessuno, sento quello che pensi.

Sento la tua vocina interiore che urla e piange: nessuno potrà mai amare una puttana.


Sei diventata una bambola, chiusa in una confezione di plastica trasparente.

Pronta ad essere comprata e usata, per poi essere gettata via, nella spazzatura.

Una bella bambolina priva di anima, toccata da tutti, strattonata, finché un braccio o una gamba non le si stacca dal corpo.


Il tuo corpo.


Sinuoso e arrogante, timido ed impacciato. Deturpato da graffi e morsi. Violentato da uomini che hanno il doppio della tua età. Un corpo che strilla e impreca, un corpo stanco che si trascina per le vie strette del paese. Un corpo perseguitato dalla propria ombra.

Un corpo fatto di tenere membra che pulsano e ti ricordano che sei viva, anche se non vorresti.


Ti senti normale solo quando vai a comprare il pane e ti fermi a chiacchierare nella piazza del paese con qualche signora. Parlate del tempo mentre date briciole di pane ai piccioni. Lo so che vorresti essere una di quelle briciole. Essere mangiata e scomparire per sempre. Poi parlate dei giovani d'oggi, dei telegiornali che non sanno più cosa inventarsi, della gelataia che è rimasta incinta per la terza volta.

Guardi quelle signore mentre pensi ai loro mariti, che conosci perfettamente. Conosci tutti i loro problemi coniugali, le loro litigate. Sai che non fanno l'amore da molto tempo.


La radio trasmette una canzone di Nancy Wilson, ormai è notte fonda e il calice è vuoto. Decidi di riempirlo ancora.

Apri la finestra che da sulla piazza più piccola del paese e ti affacci in modo tale da prendere un po' d'aria fresca.

I lampioni illuminano una chiesetta bianca, il silenzio che si respira ti da pace.

Ripensi all'avvocato. Ripensi ai tuoi mille amori perduti e fai un altro sorso.


Un giorno mi sposerò proprio in quella piccola chiesa, pensi mentre ti si inumidiscono gli occhi. E quel giorno non sarò Sara e nemmeno Cecilia. quel giorno verrò chiamata con il mio vero nome.

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