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Il sussurro del Mostro



ragazza bianco e nero

I treni continuano a passare, uno dopo l'altro, e Giulia li osserva mentre sorseggia una birra pagata 50 centesimi.

I rumori sono ovattati, distanti, i suoi occhi intrisi da fitte ragnatele la rendono cieca dinnanzi alla vita, come il più disgustoso insetto del mondo.

Guarda i volti sfocati di persone che si abbracciano, si baciano, e poi vanno via, chissà dove, mano nella mano. Tutto ciò rende più romantica e calorosa la stazione di Genova, così in contrasto con i pensieri orrorifici che aleggiano nella sua mente.

La vita degli altri le sembra terribilmente perfetta. Le pare che tutti, a parte lei, stiano bene nella propria pelle, nel proprio ritaglio di vita quotidiana.


Fa un altro sorso di birra mentre con le dita gioca con i suoi riccioli biondo cenere. Vorrebbe essere come quella ragazza che sta scendendo ora dal treno. La osserva attentamente, mentre inciampa nello scalino con quella valigia ingombrante, color fucsia. Poi abbraccia un ragazzo, immergendo le sue dita lunghe e smaltate in una folta chioma corvina. La sua risata sguaiata risveglia Giulia, quel suono felice in grado di spezzare ogni pensiero malsano e lugubre.


Una grande nuvola fa da protagonista ad un cielo grigiastro e malaticcio. Si può scorgere una luce flebile e insicura dietro quello spessore bianco, dei raggi timidi e pigri che non hanno voglia di uscire allo scoperto. Come un amore impossibile che nascondi con rigore e cautela sotto la pelle, che diviene sempre più spessa e insensibile man mano che gli anni passano. Puoi controllare le tue azioni, e anche i tuoi pensieri, ma il luccichio che si cela dietro lo sguardo di un innamorato non ammette finzione. C'è e basta, e prima o poi ti tradirà. Gli occhi non mentono mai, cara Giulia, per questo quando cammini tieni lo sguardo fisso a terra.


Questa mattina Giulia ha preso un borsone e l'ha riempito con vestiti sciupati e sporchi. Qualche mutandina, spazzolino, dentifricio, un libro e pochi spiccioli.

Prima di uscire dalla sua stanza, prigione e rifugio per tutti quegli anni, si è girata a guardare il suo letto. Quel letto che era diventato un mostro, spettatore delle sue più grandi paure, fragilità e sofferenze. Un mostro che le ha tenuto compagnia rafforzando sempre di più il suo senso di solitudine.

Di notte quel letto diventava un mostro, pronto ad inghiottirla e a vomitarle addosso tutta la sua inadeguatezza. Fai schifo, Giulia. Nessuno ti vuole, i tuoi amici ti disprezzano e la tua famiglia ti evita. I ragazzi non ti guardano nemmeno. Questo è quello che il mostro, tutte le notti, sussurrava nell'orecchio di Giulia.


Il dottore continuava a chiederle perché non dormisse, poi sorrideva e con falsa gentilezza le prescriveva dosi massicce di psicofarmaci. Giulia faceva una faccia strana, distorceva la bocca, e le labbra si trasformavano in una smorfia tra il divertito e lo sprezzante. Labbra rosse, screpolate e rigide. Giulia desiderava essere solamente sincera. Poi abbassava gli occhi e alzava le spalle per un secondo. "Non ho sonno", rispondeva. Il dottore la guardava, senza mai vederla veramente, e annuiva.


Quanto sei bugiarda Giulia. Bugiarda come tutti gli esseri umani. Basta aver passato una sola notte, nella vita, senza dormire per non crederti. Non si dorme quando i pensieri diventano logoranti e le speranze si trasformano in piccole falene: belle, tremendamente sole e cieche il mattino seguente.


La cicatrice sul polso sinistro inizia a pulsare e a prudere. Chiude gli occhi mentre il cuore batte all'impazzata e il respiro si fa sempre più corto. Afferra la testa tra le mani, spalanca la bocca, vorrebbe urlare ma non esce alcun suono.

Quel ricordo scalcia come un neonato che vuole uscire dal grembo materno, Giulia cerca di reprimerlo mentre violentemente agguanta e stringe con la mano destra il punto dove è situata la cicatrice.


Vorrebbe strapparsi la pelle, proprio in mezzo al petto, e togliere via tutti gli organi vitali per poi buttarli nel cassonetto lì vicino. Così non sentirebbe più tutto quel dolore, tutta quella tristezza. Vorrebbe aprirsi il cranio e lanciare il proprio cervello sotto un treno in modo tale da dimenticare tutto. Dimenticare anche se stessa.


Giulia e la sua pelle liscia. Pelle che diviene mare e poi oceano. Pelle ricoperta da ferite che sanguinano attirando gli squali.


Giulia che osserva la vita come si osservano le marionette mosse da un ventriloquo dallo sguardo vuoto e gli occhi fissi.


Giulia e i suoi amori spezzati, le sue catene di ferro che immobilizzano anche il più sporco e oscuro pensiero.


Giulia mangia in continuazione e ingrassa, perché si sente invisibile agli occhi della gente. E poi vomita tutto, vomito misto sangue, vomito e dolore.


Giulia a volte si taglia. Chiude gli occhi e respira, mentre il rasoio percorre verticalmente le vene blu. Dice che lo fa perché si annoia. In realtà lo fa perché è il mostro ad incitarla. In questo rito c'è tutta la rabbia del mondo, la rabbia che fin da piccola le hanno insegnato a reprimere. Quando preme esce tutta la furia, gli abbandoni subiti, le parole che non è mai riuscita a dire. Quando preme esce il volto di suo padre.


Giulia si arrende a tutti questi pensieri furiosi e, con naturalezza, quel ricordo si palesa nella sua mente, come una lupa che partorisce in mezzo al bosco.


Le piastrelle fredde a contatto con la sua guancia. Il sangue, rosso come il vino, sgorgava dalla vena, tingendo il pavimento di colore magenta. La vita stava uscendo, libera e presuntuosa come un fiume in piena. Il suo sguardo annacquato fisso sull'angolo della doccia. Il gelo che lentamente s'impossessava delle sue ossa. I suoi organi che, in un lento susseguirsi, cedevano, s'inginocchiavano al più oscuro desiderio di Giulia. Poi arrivò il calore in mezzo alle sue gambe. Si era pisciata addosso. Il giallo e il rosso si mischiarono, senza però creare alcun colore. Giulia era distesa nel bagno di casa sua con una lametta in mano mentre sguazzava nei suoi liquidi corporei, nel più totale e devastante silenzio. Le palpebre iniziarono a calare. Era pronta ad accogliere le tenebre, era pronta a scomparire. Per sempre. Nessuna luce, nessun parente morto a tenderle la mano. Solo i suoi demoni, felici, che danzavano urlando il suo nome, invitandola a ballare con loro. Stava iniziando la discesa negli inferi. Poi buio. Il ricordo diviene frammentato, come un sogno. Le urla e i singhiozzi di sua madre. Il rumore delle sirene dell'ambulanza. Le braccia forti del paramedico che la sollevavano e la buttavano come un sacco dell'immondizia sulla barella.  Giulia si risvegliò dopo due giorni di coma in ospedale, su un lettino, e sua madre li, che pregava nonostante fosse atea.


Una voce femminile e meccanica annuncia il prossimo treno in arrivo, risvegliando Giulia da questo ricordo doloroso, da questo frammento di vita che, volente o nolente, farà per sempre parte di lei. Non ricorda con precisione cosa l'ha portata a compiere un gesto così estremo. Forse, semplicemente, un insieme di cose. Il suo psichiatra dice che è malata e che soffre di depressione. Capita. Qualche squilibrio neurochimico, predisposizione genetica e tac, sei fottuta. Ma è davvero così semplice la risposta?


Giulia si alza e si dirige verso le strisce gialle. È attonita, spaesata, persa. Preda di se stessa. Schiava di un’infelicità esistenziale. Giulia, come un ragno, tesse la sua tela, in modo minuzioso e schematico. Un ragno non si domanda il perché crea ragnatele, lo fa e basta, è insito in lui.

Il piede oltrepassa la linea e nel frattempo una canzone rimbomba nella sua mente. Il mondo e tutte le vite che la circondano scompaiono. Il mostro riappare. Buttati Giulia, buttati sotto questo treno. Falla finita, non vedi come sei messa? Rantoli come un uccellino a cui è stata spezzata un'ala. Fatti un favore, fai un favore a tutti quanti, ammazzati. Sarà breve, te lo assicuro, devi solo avere coraggio. Fai in modo che la tua morte abbia più senso della tua vita.


Giulia chiude gli occhi, si guarda dall'esterno. Respira tutta l'aria fredda di questa mattina, con la speranza di sentire la vita. Niente. Non sente nulla. I suoi pensieri si annullano, soltanto le parole del mostro acquisiscono un senso. Alla fine, a chi mancherai, cara Giulia?


Giulia è decisa, alla fine, quel mostro che l'ha accompagnata per tutta la vita, quel demone nero dagli occhi rossi, come può non aver ragione? La conosce meglio di chiunque altro.


Si leva la giacca e scaraventa il borsone per terra. Oltrepassa la linea gialla. Si sente libera ma succube di una danza macabra, e con una piroetta stravagante fa per buttarsi giù, poco prima che il treno passi con tutta la sua velocità dilaniante.


Sarà stato un errore di tempistiche, sarà stato il suo torpore che la rende insensibile al mondo esterno, sarà stato il destino. Sarà stata la mano di Dio?

Il treno passa ferocemente e una folata di vento la scaraventa per terra, proprio vicino al borsone. Le porte del treno si spalancano di fronte a lei. Giulia è scossa, non ha più saliva, afferra la giacca e fruga velocemente dentro la tasca. Estrae un biglietto stropicciato, comprato poco prima. Lo fissa impaurita. Quello è il suo treno. Guarda il treno, poi guarda il biglietto consumato che giace nella sua mano destra. Si alza, si rimette la giacca e afferra il borsone.


Ancora tremante e incredula per ciò che stava per fare, con estrema forza e coraggio pianta il suo piede destro sullo scalino del treno mentre si aggrappa ai lati della porta d'entrata. Le porte di ferro si chiudono in uno scatto rumoroso che non lascia via d'uscita. Giulia è pallida e suda freddo, è sconvolta e le stanno per cedere le gambe. Afferra nuovamente il biglietto e lo osserva intensamente. Già, quello è proprio il suo treno.


Giulia ha scelto la morte, il dolore, la sofferenza, la disperazione. Giulia ha scelto la vita.

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