Mi sveglio nel cuore della notte. Ancora quel maledetto sogno. Le mie fragilità prendono il sopravvento, facendomi sentire nuda e disperata. La carne bagnata di sangue pulsa sotto la fasciatura bianca e stretta; carne viva e lucida che trasuda tutti i miei sbagli e li butta fuori in un rigolo rosso che scivola percorrendo la parte interna della coscia.
Ti rimarranno delle cicatrici, mi ha detto il medico. Le cicatrici sono affascinanti, penso cercando in qualche modo di rincuorarmi. Potrò sempre raccontare di quanto sia stata coraggiosa nel salvare quella bambina mentre stava per essere attaccata da un cane inferocito. Oppure di come sia stata svelta nello staccarmi dalla morsa feroce di uno squalo mentre facevo surf in Australia.
A tutti piacciono le storie, piacciono ancor di più quando il protagonista, rigorosamente un personaggio goffo, affronta una sfida e la vince, trasformandosi in un eroe amato da tutti. Ma la vita non è così, a volte è tremendamente banale. Noiosa. Stupida.
Certi strascichi, certe ferite, te le porti dietro tutta la vita e ti cambiano per sempre.
Non sono brava a raccontare storie avvincenti, nessun eroe, nessun cattivo, nessuna sfida adrenalinica. Nessun amore impossibile che, dopo svariati ostacoli, si realizza. Soltanto parole messe qua e lá in un maldestro tentativo di esorcizzare un dolore antico.
Nessun cane con la rabbia, nessuno squalo che ti scambia per una foca.
"È stato un errore di distrazione", direbbe Brunori. Un incidente di percorso, come quando ti sei messa con quello lá e ci credevi pure.
Gli occhi della gente che mi circonda, quando mi domandano cosa mi sia successo, sono voraci, intrepidi, vogliosi di ascoltare la Storia. Più è macabra e più li vedi sbavare. E se ci infili pure una componente drammatica, che so... Hai fatto un incidente mentre raggiungevi la tua anima gemella pronta a partire per sempre? Beh, sono tuoi. Per sempre.
Lo leggo nei loro occhi la delusione e il silenzio che seguono quando dico che mi sono semplicemente ustionata con il caffè bollente. Come per esempio la giovane infermiera tirocinante, occhialuta e tatuata, quando mi ha chiesto cosa fosse successo si aspettava - palesemente - la Tragedia. Che ne so, uno stalker pazzo e violento che mi ha tirato l'acido addosso di notte, in un parcheggio sotterraneo. Dopo la mia risposta segue un minuto di silenzio imbarazzante, pregno di delusione e aspettative disattese. La giovane tirocinante guarda il collega e gli chiede "ma è venuta senza pantaloni?"
La parola Trauma deriva dal greco Traum, che significa ferita. Esistono tantissime ferite, dalle abrasioni alle ustioni. Sono ferite che si vedono, si possono toccare, curare. Mal che vada rimane un segno bianco.
Oltre a queste esistono ferite molto profonde, invisibili, che hanno una storia pesantissima. Questa storia, chissà per quale motivo, la nascondiamo; quasi ce ne vergogniamo.
Tutti quanti abbiamo la nostra ferita, quella che ancora pulsa e, probabilmente, pulserà tutta la vita.
Una ferita che si trasforma in una storia che non fa ridere, non è spensierata, allegra, interessante. E quasi mai ha un lieto fine. Una storia ordinaria dove non ci sono né vinti e né vincitori. Una storia che non verrà mai ascoltata.
La storia poi si fossilizza, diventando una cicatrice che non brucia più, dimenticata e nascosta nei meandri più inaccessibili della nostra mente.
Siamo fatti di tagli profondi, epidermide e derma lacerati; cicatrici bianche che non andranno mai via. Siamo aghi infetti dispersi in un pagliaio di disperazione. Siamo il caffè che tinge di nero il pavimento della cucina.
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