Baby Reindeer, la potenza nel mettersi a nudo davanti agli altri
- Spazio Eclettico
- 20 apr 2024
- Tempo di lettura: 7 min
A volte capita di scovare, nella marea di merda che propone Netflix, qualche piccola perla.
Inizialmente credevo fosse un semplice prodotto tragicomico, caratterizzato da un humor british leggermente noir, perfetto per distendere la mente dopo una lunga giornata di lavoro. Ma, in realtà, non sapevo a cosa stessi andando incontro. Le emozioni che mi ha suscitato sono contradditorie, è riuscita a toccare parti di me molto personali e profonde. Non resta altro da fare che parlarvene, con qualche piccolo ma necessario spoiler!
Baby Reindeer è una serie il cui corpo è la mente dei personaggi, una mente che nel corso della storia cambia, si modifica, si apre e si chiude mostrando allo spettatore i pensieri e le riflessioni più nefaste. È una discesa negli inferi ai quali poi non si giunge mai, un viaggio nella selva oscura dove si esplorano le fragilità e le paure del protagonista Donny, interpretato dallo stesso sceneggiatore Richard Godd. Questa miniserie sfata tutti quei falsi e irreali miti che riguardano lo stalking e la violenza sessuale, abbattendo i pregiudizi e mostrandoci la nuda e cruda verità: anche gli uomini possono essere vittime e le donne carnefici. Lo stalking in questo caso non viene romanticizzato come, ahimè, spesso accade in film e libri.
Richard Godd porta sullo schermo, con estremo coraggio, le sue vicende personali e i suoi traumi. Lo fa senza mai fornirci una risposta finale, una risoluzione qualsiasi. È un flusso di coscienza cinematografico dal quale veniamo sopraffatti come da un’onda anomala e non possiamo far altro che subire, inermi, la violenza, l’angoscia, la paura di una persona vittima di abuso. Ma soprattutto veniamo travolti dalle conseguenze devastanti e invisibili che il fantasma dello stupro porta con sé.
La trama di Baby Reindeer
Donny è un giovane uomo, quasi trentenne, barista e aspirante comico di successo.
È una giornata come tante per il protagonista quando nel pub londinese dove lavora entra una donna sui quarant’anni, Martha (Jessica Dunning). La donna si siede al bancone, appare triste e così Donny, impietosito, le offre un tè. Un gesto apparentemente innocuo ma che per i due protagonisti della vicenda decreta l’inizio della fine. Da quel momento Martha si presenta ogni giorno sul posto di lavoro di Donny mostrandosi profondamente ossessionata da lui, gli invia e – mail sgrammaticate e sessualmente esplicite. Inizia a chiamarlo piccola renna, un nomignolo che verrà spiegato nell’episodio finale.
Martha sostiene di essere un avvocato di successo che vive in un attico ma non ha neanche i soldi per pagarsi una diet coke. Ha una risata bizzarra, penetrante, e dalla sua bocca spesso e volentieri escono frasi e riflessioni poetiche sulla vita.
Donny ne rimane affascinato, si rispecchia in quell’esistenza triste, fatta di menzogne e dolore. Nonostante si renda conto dell’estrema fragilità di Martha, all’inizio ne è sia impietosito ma anche attratto. Si crea così un doppio filo che li terrà uniti, un legame dal quale Donny cerca disperatamente di sottrarsi ma al contempo ne è dipendente.
Martha lo ha visto per come lui desidera essere visto, quando in realtà per Martha il protagonista non è nient’altro che un feticcio, un oggetto sul quale poter riversare tutta la sua solitudine e angoscia esistenziale.
Alcune persone scappano facendo le valigie, altre stando nello stesso posto per troppo tempo.
Lo stalking durerà ben due anni, uno stalking fatto di continui appostamenti, minacce, messaggi vocali, e – mail, telefonate. Martha arriverà a minacciare le persone più care a Donny, come per esempio Teri, una donna trans di cui il protagonista è innamorato e la sua famiglia.
Inizia così per Donny la discesa negli abissi più oscuri della propria anima, un’anima frammentata da un trauma sconvolgente, un trauma che riemerge anche grazie a Martha.
Il fantasma della violenza sessuale

Per tutta la durata della serie il protagonista si pone delle domande a cui cerca disperatamente delle risposte. Si instaura un processo di autoanalisi continuo, che si tramuta in un monologo senza fine. Il protagonista è alla continua ricerca di risposte e questo lo porta ad analizzare con spirito critico il suo passato e presente, dove non sempre si è comportato in modo edificante.
Dopo sei mesi di stalking da parte di Martha, Donny decide finalmente di denunciarla. Si reca alla stazione di polizia, dove si scontra con l’inettitudine e la stupidità che dimostra il poliziotto nell’affrontare questa situazione. Il giovane poliziotto gli chiede, ingenuamente, come mai avesse aspettato così tanto tempo prima di denunciarla.
Donny inizia a riflettere. Ciò che emerge è una sorta di empatia e compassione che lui prova nei confronti di Martha, dato che la considera una malata di mente. Ammettendo, però, a se stesso che tutte quelle attenzioni inizialmente lo avevano fatto sentire vivo, visto, speciale. Martha è stata l’unica persona ad aver visto il dolore lancinante che Donny portava nel petto.
La mia autostima è così bassa che ho lasciato entrare questa stronza pazza nella mia vita. Lavoro in un pub sapete, un giorno le ho offerto una tazza di tè, lei piangeva e volevo tirarle un po’ su il morale. Ma lei… lei ha iniziato a presentarsi ripetutamente ogni giorno e sapevo che si stava affezionando. Ma io ho continuato a farlo per soddisfare il mio stupido bisogno di attenzioni. […] Vedete… l’abuso ti porta a questo, mi ha fatto diventare una carta moschicida per tutti gli svitati che esistono, una ferita aperta pronta da annusare.
Martha per Donny, fondamentalmente, è stata un antidoto al veleno presente nel suo corpo, un potente anestetico che permetteva a Donny di non sentire il dolore e di rimanere fermo, bloccato in una vita che non gli piaceva più, alla quale non riusciva a trovare alcun senso. Ma è stata anche la sua rinascita, la sua intima presa di coscienza. Anche per questo faceva fatica a distaccarsi da lei.
Quel dolore, Donny ha cercato in tutti i modi di seppellirlo. Un dolore che ha trovato terreno fertile dove affondare spesse radici. Un dolore che si è nutrito della linfa vitale presente nel suo corpo, fino a farlo quasi scomparire.
Il dolore lancinante, invisibile e incompreso dello stupro.
Cinque anni prima degli eventi narrati, Donny si trovava a Edimburgo per un festival di artisti. Durante una festa conobbe un famoso scrittore e sceneggiatore. Quest’uomo, molto più grande di lui, iniziò a girargli attorno, adulandolo e promettendogli una carriera di successo. Lo chiamava spesso durante il week end, invitandolo a casa sua per parlare di scrittura e del futuro lavorativo di Donny. Durante questi incontri consumavano quantità massicce di droghe pesanti, durante i quali Donny sveniva per poi essere ripetutamente abusato sessualmente dallo scrittore.
Ero così ingenuo da pensare che quella fosse una cosa speciale. Che quando uno sceneggiatore cade ai tuoi piedi e dice “Ehi hai talento ragazzo, ti faccio diventare famoso” tu credi ad ogni parola che ti dice, perché sono le parole che volevi sentire da tutta la vita, no? Io credo in te tanto quanto tu credi in te stesso. E tu sei disposto a fare qualunque cosa ti chieda di fare perché la fama ingloba anche il giudizio, giusto? E io ho temuto il giudizio per tutta la vita…per questo sognavo la fama, perché quando sei famoso, le persone ti vedono così, famoso. Non pensano a tutte le altre cose che ho sempre temuto, tipo quello lì è un perdente, una nullità o un frocio del cazzo. Loro pensano… è quello che fa quella cosa, è quello divertente. E io volevo così tanto essere quello divertente. […] Così quando questo sceneggiatore dice che lavora solo con quelli tosti e che devo affrontare le mie paure, beh…non ci vuole molto perché finisca a casa sua a sballarmi con qualunque droga ogni fine settimana. Ma farsi adulare non è magico, finché non capisci che in realtà sei stato abbindolato. Finché non perdi i sensi perché sei strafatto di GHB mentre lui con quelle mani disgustose ti strappa i pantaloni e nel profondo di te sai che è sbagliato quello che ti fa fare ma ogni volta ti ripresenti alla sua porta e inizi a riflettere: il rispetto che ho di me stesso è così fottutamente basso? Il mio desiderio di successo è così fottutamente grande che deciderò di tornare ripetutamente a casa di quest’uomo e lascerò che abusi di me per un piccolo briciolo di fama?
Baby Reindeer ci mostra con spietata crudezza gli strascichi che comporta uno stupro. Il rapporto con il proprio corpo in relazione a quello degli altri cambia drasticamente. Un corpo violato è un corpo che non percepiamo più come nostro, facciamo fatica a sentirlo, come se la nostra mente se ne distaccasse e volasse via, chissà dove. Il proprio corpo diventa uno strumento che viene utilizzato per esorcizzare il trauma, alla ricerca spasmodica dello stesso tipo di contatto, alla ricerca continua dell’abuso, come in un girone dell’inferno dantesco, per riviverlo ancora e ancora nel vano tentativo di liberarsene per sempre. Poi arrivano i sensi di colpa, l’ansia, l’evitamento di specifiche situazioni sociali. L’abuso di sostanze. La totale incapacità di amare e farsi amare poiché l’odio per noi stessi è talmente forte da oscurare tutto il resto. La vergogna di non essere stati in grado di andarsene e la colpevolizzazione di se stessi. La difficoltà nell’entrare in intimità con qualcuno di cui siamo innamorati.
Esorcizzare il dolore attraverso l’arte
La forza di Baby Reindeer risiede proprio nella sua spietata sincerità. È un prodotto cinematografico che racconta la sofferenza dello stesso autore, senza mezzi termini, senza edulcorare un bel niente.
Richard Godd attraverso la sua opera si denuda, alleggerendosi da tutti i suoi pesi, mettendo in scena la violenza che ha subito. Una vera e propria drammatizzazione del dolore, una sorta di teatroterapia attraverso la quale si può intravedere il tentativo di esorcizzare il male subito.
La fotografia, infatti, è cangiante, vivida, penetrante. La serie è ricca di primi piani che risultano a volte soffocanti, dove lo sguardo degli attori non lascia via d’uscita allo spettatore. Il ritmo è serrato e la colonna sonora mantiene alta la tensione.
La scena finale risulta enigmatica. A mio parere, in quest’ultima scena, Donny dopo aver passato mesi a cercare di comprendere Martha e i suoi comportamenti, si arrende all’ineluttabilità della vita, alla sua stramba casualità. A volte basta un semplice incontro in un pub e le vite di due persone cambiano per sempre. In quel preciso momento Donny comprende Martha fino in fondo, l’empatia per la sua sofferenza raggiunge l’apice e può finalmente perdonarla, lasciandola andare per sempre.
Sicuramente è un prodotto valido, non adatto ai più sensibili o a chi, giustamente, ha bisogno di leggerezza, in quanto risulta essere un’opera in grado di suscitare forti sensazioni. Per questo consiglio di vedere due puntate alla volta e l’ultima da sola, in modo tale da alleggerirne la visione.
Preparatevi, una volta finita la serie, a un silenzio assordante pronto a divorarvi.
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